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Cos’è la frequenza di rimbalzo (o bounce rate) e come abbassarla

Aggiornato: 2023-03-15  
(13 min. di lettura)
Cos’è la frequenza di rimbalzo (o bounce rate) e come abbassarla
La Frequenza di Rimbalzo (o Bounce Rate) è una metrica che aiuta i marketers a comprendere meglio il comportamento degli utenti e la qualità di ogni singola pagina di un sito web. Infatti, quando una pagina ha un'elevata frequenza di rimbalzo, spesso vuol dire che presenta errori tecnici, una cattiva UX o contenuti di bassa qualità. Come rilevare questi problemi e (soprattutto) come correggerli?

Indice

Cos’è la frequenza di rimbalzo?

Ecco la precisa definizione di frequenza di rimbalzo:

La frequenza di rimbalzo (o bounce rate) è il valore in percentuale degli utenti di un sito web che, dopo aver visitato una sola pagina, escono dal sito senza compiere nessun’altra azione e, quindi, “rimbalzano” fuori, tornando al punto di partenza.

In termini matematici, dunque, il tasso di rimbalzo è il rapporto tra il numero di sessioni (semplificando, possiamo identificarlo come il numero delle visite) che contano una sola pagina visualizzata diviso il numero totale di sessioni del sito.

Attenzione, spesso si tende a pensare che misurando la frequenza di rimbalzo, si abbiano anche indicazioni relative al tempo di permanenza su una pagina. Ma le cose non stanno così: il bounce rate non tiene conto della durata delle sessioni ed è indifferente per questo calcolo che un utente abbia trascorso 3 secondi o 3 minuti sulla stessa pagina: quello che conta è che durante questa visita non abbia continuato la navigazione cliccando su un link interno al sito, compilando un form o facendo qualsiasi altro tipo di azione rilevabile dai tool di analisi dei dati.

Sarà di certo più semplice comprendere meglio il significato di frequenza di rimbalzo, e cosa rappresenta concretamente questo valore, con un esempio.

Poniamo il caso che un utente abbia cercato su Google cos’è la frequenza di rimbalzo e che tra i primi risultati abbia trovato una pagina, sulla quale decida di cliccare e dare inizio a una nuova sessione. Se dopo aver letto l’articolo, anche fino all’ultimo paragrafo, l’utente abbandona il sito, chiudendo la finestra o tornando alla pagina dei risultati di ricerca, vuol dire che è “rimbalzato” fuori senza continuare la navigazione (in questo caso ti sconsigliamo di farlo, piuttosto scopri come WhitePress può supportare le campagne di content marketing e aiutarti a migliorare il posizionamento del tuo sito).

Perché analizzare la frequenza di rimbalzo?

Quindi, perché è importante analizzare questa metrica e fare il possibile per avere una buona frequenza di rimbalzo?

Sicuramente, il valore del bounce rate sarà determinato dalla tipologia di pagina. Per esempio, per un sito one page (non avendo altre pagine da navigare) il tasso di rimbalzo sarà necessariamente del 100% e questo valore non andrà a destare preoccupazioni. Poniamo, invece, il caso in cui una delle pagine prodotto di un e-commerce abbia un’elevata frequenza di rimbalzo: ciò significherebbe che molti utenti stanno lasciando lo shopping senza proseguire all’acquisto e quindi, in soldoni, che il sito perde potenziali clienti.

Per questo motivo, è fondamentale che i marketers misurino costantemente il bounce rate, almeno delle pagine principali del sito, dato che questa analisi aiuta a scoprire:

  • Eventuali errori nella navigazione.
  • Quali pagine rispondono meglio alle esigenze dei visitatori e del business.
  • Come migliorare la user experience.
  • Se e quali canali di acquisizione portano traffico di bassa qualità (motori di ricerca, newsletter, social network, altri).

In linea generale, avere una buona frequenza di rimbalzo significa che gli utenti trovano che il contenuto che gli viene mostrato sia interessante, coinvolgente e presentato bene, che soddisfi il loro search intent oppure che sia in linea con quello che si aspettavano dopo aver cliccato su un banner pubblicitario, su una inserzione trovata sui social o su un link di una DEM (Direct Email Marketing) e che, quindi, abbiano motivo di proseguire la navigazione.

Tutto ciò non è da interpretare come una vanity metrics. Ha un impatto molto concreto sulle performance del sito perché, chiaramente, un utente soddisfatto è un utente che può contribuire a migliorare il tasso di conversione secondo l’obiettivo prefissato (acquisto, lead generation, contatto, ecc…)

Al contrario, un bounce rate troppo alto, in molti casi (ma non sempre), è il sintomo che qualcosa non funziona bene e nei paragrafi successivi spiegheremo perché e come rimediare.

Qual è la differenza tra frequenza di rimbalzo e percentuale di uscita?

Un altro caso che può generare confusione quando si tratta questo tema è la differenza tra frequenza di rimbalzo e percentuale di uscita (o exit rate).

La percentuale di uscita è un altro indicatore che può aiutare a valutare la qualità di una specifica pagina web. Ma è un dato molto diverso dal bounce rate perché, se quest’ultimo, come abbiamo visto dalla definizione di frequenza di rimbalzo, quantifica il numero di utenti che visitano una sola pagina e poi escono senza fare nient’altro, la percentuale di uscita, invece, è la percentuale di visite che terminano su una determinata pagina del sito e risponde alla domanda: “quanti utenti hanno abbandonato il sito proprio su questa pagina?”.

Anche in questo caso, utilizziamo un esempio pratico, rendendo più chiara la differenza tra bounce rate ed exit rate.

Poniamo il caso che un utente abbia iniziato la sua navigazione nella home page di un e-commerce di moda, che trovi interessante un paio di scarpe, clicchi per vedere i dettagli dell’offerta, aggiunga il prodotto al carrello e prosegua al checkout. Qui si accorge però che, oltre al prezzo delle scarpe dovrebbe pagare anche dei costi di spedizione molto elevati; così, cambia idea, chiude la finestra di navigazione e abbandona il sito. Cosa comporta questa serie di eventi nelle due metriche che stiamo considerando?

Questa sessione non avrà nessuna rilevanza nel calcolo del bounce rate, semplicemente perché l’utente non è “rimbalzato” fuori dopo la prima pagina: al contrario, ne ha visitate ben quattro e poi è uscito.

Diversamente, aver abbandonato il sito alla pagina del checkout contribuisce ad aumentare la percentuale di uscita (solo) per quella determinata pagina.

Chiaramente, anche il monitoraggio della percentuale di uscita dà indicazioni sul comportamento degli utenti e sulla qualità del contenuto e del design di una pagina, dato che, quando vengono rilevati valori più alti della media del sito, molto probabilmente le pagine in questione presentano qualche problema e toccherà ai marketer scoprire quali.

Come calcolare e misurare la frequenza di rimbalzo?

Il calcolo della frequenza di rimbalzo è abbastanza semplice, sempre se si hanno a disposizione i dati corretti rilevati dai tool di analisi come Google AnalyticsMatomo.

A livello di sito, la formula è:

Bounce rate = (numero di sessioni del sito web/numero di sessioni che terminano con una sola pagina visitata) *100

Poniamo il caso di avere questi dati a disposizione relativi all’ultimo mese:

  • Numero di sessioni del sito web: 10.300
  • Numero di sessioni che terminano con una sola pagina visitata: 6.000

Come misurare la frequenza di rimbalzo? Ecco il calcolo:

Bounce rate = (6.000/10.300) *100 = 58%

Questo calcolo è replicabile pagina per pagina per misurare la frequenza di rimbalzo specifica.

Chiaramente, nella maggior parte dei casi, non sarà necessario effettuare questo calcolo manualmente, in quanto, se il codice di monitoraggio e tracciamento del tool di analisi è implementato correttamente, sarà lo strumento stesso a tenere traccia di questa metrica, anche se questo avviene in maniera leggermente differente da tool a tool.

Concentriamoci sullo strumento più utilizzato. In che modo Google Analytics calcola la frequenza di rimbalzo?

Anche qui bisogna fare dei distinguo perché il calcolo della frequenza di rimbalzo in Google Analytics può subìre delle lievi variazioni a seconda della versione del tool utilizzata. Infatti, nel più datato Google Universal Analytics, il bounce rate è misurato come:

Percentuale di sessioni di una sola pagina in cui non si sono verificate interazioni con la pagina. Una sessione con rimbalzo ha una durata di 0 secondi. Ad esempio, se un utente accede al tuo sito web ed esamina i contenuti della home page per alcuni minuti, ma esce senza fare clic su alcun link o senza attivare eventi registrati come eventi di interazione, la sessione verrà conteggiata come un rimbalzo.

e il suo valore è immediatamente disponibile in diversi report di default.

Ad esempio in:

  • Pubblico > Panoramica
    è presente il dato generale della frequenza di rimbalzo a livello di sito.
  • Comportamento > Contenuti del sito > Pagine di destinazione
    è presente una panoramica dei valori del bounce rate, pagina per pagina, con la possibilità di ordinarli dal più alto al più basso.
  • Acquisizione > Tutto il traffico > Canali
    è presente il report dei valori della frequenza di rimbalzo divisa per canali di acquisizione, per comprendere da quale fonte arriva maggiore traffico di qualità.

Da luglio 2023, però, Google Universal Analytics sarà sostituito definitivamente da Google Analytics 4. Quindi, anche per chi non ha ancora effettuato la migrazione, presto non sarà più procrastinabile e, relativamente al bounce rate, qualcosa cambia.

Google Analytics 4: come si misura la frequenza di rimbalzo?

GA4, infatti, non fornisce la frequenza di rimbalzo di default nei report preimpostati, ma è comunque possibile ricavarne il valore grazie ai report personalizzati. Vediamo come.

Innanzitutto è bene specificare che la frequenza di rimbalzo in Google Analytics 4 è trattata come l’esatto opposto del tasso di coinvolgimento (o engagement rate), un’altra metrica, a cui, in questa release dello strumento di analytics più usato al mondo, è stata dato decisamente maggior rilievo.

In GA4 una “sessione con coinvolgimento è tale se l’utente resta sul sito almeno 10 secondi e fa segnare uno o più eventi di conversione (anche il semplice scroll della pagina o la visualizzazione di un video), oppure due o più visualizzazioni di pagine differenti.

Per questo, in GA4 il calcolo della frequenza di rimbalzo è differente e tiene conto anche del tempo di permanenza sul sito. Infatti, una sessione verrà conteggiata come un rimbalzo (aumentando la percentuale di frequenza di rimbalzo), se un utente resta meno di 10 secondi su una pagina e poi esce senza aver fatto registrare nessun evento.

Google spiega così il perché della scelta di includere il parametro tempo nel calcolo della frequenza di rimbalzo:

la frequenza di rimbalzo, calcolata in Google Analytics 4, fornisce un modo più utile per misurare il livello con cui i clienti interagiscono con il tuo sito o la tua app. Ad esempio, se gestisci un blog, non ti importa che i clienti visitino il tuo sito per leggere un articolo e poi uscire. È probabile che ti interessi maggiormente il numero di clienti che visitano il tuo sito, non trovano ciò che cercano e poi abbandonano il sito rapidamente.

Per includere il bounce rate e l’engagement rate nei report di GA4 è necessario seguire questi passaggi, possibili solo per chi dispone del ruolo di Editor o Amministratore:

  1. Cliccare sulla sezione Report a sinistra.
  2. Cliccare su Personalizza report, in alto a destra.
  3. Cliccare su Metriche, nella sezione Dati del report in alto a destra.
  4. Aggiungere “Tasso di coinvolgimento" e "Frequenza di rimbalzo".
  5. Fare clic su Applica.
  6. Salvare le modifiche apportate al report corrente.

Qual è una buona frequenza di rimbalzo?

Come abbiamo accennato in diversi punti di questo articolo, non esiste una frequenza di rimbalzo ideale per tutte le situazioni: essa dipende dalla tipologia di pagina, dalla tipologia di sito, dalla categoria merceologica del business e (soprattutto) dall’obiettivo per il quale il marketer ha pensato di creare la pagina.

Su Customedialabs è riportata una tabella con la media dei valori di frequenza di rimbalzo per tipologia di sito:

  • 20% - 45% per e-commerce e siti web di vendita al dettaglio.
  • 25% - 55% per siti B2B.
  • 30% - 55% per siti web di lead generation.
  • 35% - 60% per i siti web di contenuti non e-commerce.
  • 60% - 90% per le landing page.
  • 65% - 90% per dizionari, portali, blog e in genere siti web che ruotano intorno a notizie ed eventi.

Mentre, Siegemedia ha creato una tabella con i valori medi di bounce rate per categoria merceologica:

  • Viaggi - 82%
  • Lifestyle - 64%
  • Business e Finanza - 63%
  • Salute - 59%
  • E-commerce - 54%
  • Assicurazioni - 46%
  • Immobiliare - 40%

Questi valori medi vanno sempre presi con le pinze. In maniera più generica, quello che si può valutare più concretamente come benchmark, sono queste fasce di valori di frequenza di rimbalzo:

  • - 25% - possibili problemi nel tracciamento di Analytics.
  • 25%40%ottimo
  • 40% - 60%buono / discreto
  • 60%75%possibili problemi sulla pagina
  • +75% - bisogna (quasi sicuramente) intervenire con urgenza.

In generale, quindi, si può affermare che:

una buona frequenza di rimbalzo deve essere quanto più bassa possibile.

Come capire se il bounce rate di un sito è troppo alto

Va precisato, però, che avere un’elevata frequenza di rimbalzo può dipendere da diverse cause e non sempre devono essere interpretate negativamente.

La pagina “Contatti” di un business offline, una gastronomia ad esempio, potrebbe avere un bounce rate alto semplicemente perché gli utenti hanno cercato il numero di telefono o l’indirizzo dell’attività e poi hanno abbandonato il sito perché, dopo aver ottenuto le informazioni che cercavano, si sono recati personalmente in negozio. Mica male!

Al contrario, in una landing page dove l’unica azione possibile è il download di un contenuto, una frequenza di rimbalzo alta e quindi un gran numero di sessioni che finiscono con la chiusura della pagina piuttosto che con il passaggio alla Thank You Page, è sicuramente dannoso.

Quindi, per capire se il bounce rate di un sito è troppo alto, è bene contestualizzare il dato, non fermarsi al dato generale, soprattutto nei siti con un gran numero di pagine, e scendere nei dettagli valutando pagina per pagina come il comportamento degli utenti sia in linea con l’obiettivo della stessa.

Cosa influenza il bounce rate?

Analizzando la situazione del sito, si possono riscontrare dati negativi relativamente al bounce rate, scoprirli è il compito dei marketer.

Un’elevata frequenza di rimbalzo da cosa può dipendere? Ecco una serie di casistiche da analizzare:

  • Tempo di caricamento della pagina troppo alto
    Gli utenti non vogliono aspettare e, se la pagina si carica lentamente, potrebbero decidere di abbandonare subito il sito, senza averne visualizzato i contenuti. Per misurare la velocità di caricamento delle pagine esistono diversi tool come Page Speed Insight, messo a disposizione gratuitamente direttamente da Google, oppure GTmetrix.
  • Altri errori tecnici sulla pagina
    Oltre la velocità di caricamento, potrebbero esserci altri problemi tecnici, come gli errori 404 o una pagina senza contenuto. Un ottimo modo per rilevarli è utilizzare i report di Google Search Console.
  • User Experience non curata
    Una navigazione complessa e poco intuitiva è un ostacolo alla permanenza sulla pagina. Troppi pop-up, banner e annunci, colori sgradevoli, layout disorganizzati e CTA aggressive appesantiscono il design, soprattutto da mobile, con la conseguenza che gli utenti lasciano il sito senza visitare altre pagine.
  • Meta-dati fuorvianti
    Creare titoli e descrizioni per lo snippet dei risultati di ricerca con informazioni non esplicative del reale contenuto contribuisce a creare aspettative degli utenti che possono non essere soddisfatte dalla pagina. Quando succede, il risultato finale è l’abbandono del sito.
  • Link esterni tossici o fuorvianti
    Il problema può venire anche da siti esterni, quando vengono creati link fuori contesto o che, anche in questo caso, danno informazioni non corrette sulla pagina di destinazione.
  • Contenuti di bassa qualità
    E questo è sicuramente uno dei motivi principali e sotto il diretto controllo di chi gestisce un sito. Se testi, immagini, video e ogni contenuto presente sulla pagina non soddisfa le esigenze dell’utente, sia in seguito a una ricerca che in seguito a inserzioni sponsorizzate, l’utente lascerà il sito per guardare verso un competitor diretto.

In ognuno di questi casi, è necessario intervenire e chiedersi seriamente come abbassare la frequenza di rimbalzo.

Come migliorare la frequenza di rimbalzo?

In pratica, a ogni possibile problematica corrisponde una o più soluzioni. Come abbassare la frequenza di rimbalzo?” Ecco come:

  • Ridurre il tempo di caricamento delle pagine
    I fattori su cui intervenire per migliorare questo parametro sono le performance del server, l’ottimizzazione dei contenuti multimediali (immagini e video) e soprattutto la struttura del codice HTML e del CSS, che devono essere quanto più snelli ed essenziali. Attenzione: da diversi anni ormai, il tempo di caricamento delle pagine è un fattore di ranking per Google.
  • Risolvere gli altri errori tecnici
    Search Console, oltre a rilevare gli errori presenta anche le soluzioni: l’errore 404 è facilmente risolvibile con un ripristino della pagina, un redirect 301 o la creazione di una pagina di errore creativa che indirizzi il traffico verso una destinazione strategicamente importante.
  • Migliorare la User Experience
    Su questo aspetto, non esiste una strada univoca. Studiare il comportamento degli utenti con mappe di calore e altri strumenti analitici aiuta a capire il funzionamento del sito. Una strada che paga sempre è la semplicità: un layout chiaro e minimale supportato da strumenti che aiutano la navigazione, come menù, barre di ricerca e filtri intuitivi, migliorano l’esperienza dell’utente, così come anche call to action e link interni chiari nei punti giusti e che direzionano verso una soluzione concreta.
  • Scrivere snippet sinceri
    Quando si progettano titolo, URL e meta description, bisogna trovare il giusto equilibrio tra persuasione e concretezza perché, seppur è vero che la funzione di questo asset è invitare a scegliere il proprio sito tra i tanti risultati di ricerca, allo stesso tempo, se il reale contenuto della pagina non rispetta le promesse fatte, la visita generata non porterà ai risultati sperati.
  • Creare contenuti di qualità
    Ogni pagina deve soddisfare l'esigenza dell’utente e il contenuto è il modo migliore per farlo. I testi devono essere utili, chiari e semplici da comprendere per il target a cui si rivolgono e curati nella forma e nella sintassi. Bisogna dare al consumatore quello che gli serve per risolvere il problema o l’aspettativa che l’ha portato sulla pagina.

Bounce rate - domande più frequenti (FAQ)

La frequenza di rimbalzo è un fattore di ranking?

No. A più riprese sono arrivate da Google indiscrezioni che lasciano intendere chiaramente che la frequenza di rimbalzo non è un fattore di ranking.
Resta celebre l’affermazione di Matt Cutts, una delle principali Google spokesperson fino a qualche anno fa, che ha detto:
I’ll just say that bounce rates would be not only spammable but noisy.
Che, in sostanza, significa che la frequenza di rimbalzo dà a Google dati poco chiari, “rumorosi”, per essere utilizzati come fattore di posizionamento.
A questo si aggiunge un tweet più recente di uno dei successori di Matt Cutts, Gary Illyes, che dice - We don’t use anything from Google analytics in the “algo”.

Qual è la differenza tra frequenza di rimbalzo e percentuale di uscita?

Frequenza di rimbalzo e percentuale di uscita sono due metriche diverse, seppur entrambe utili a comprendere meglio la qualità di ogni singola pagina di un sito web.
La frequenza di rimbalzo misura le sessioni che si concludono con una sola pagina visitata, la percentuale di uscita misura quanti utenti abbandonano il sito su una determinata pagina.

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